L’epopea del Gavia e dei suoi eroi: 60 anni di ciclismo estremo

L’8 giugno 1960 il Giro d’Italia transitava per la prima volta sul Passo Gavia con l’impresa sfortunata di Imerio Massignan, a cui sarebbero seguite tante altre giornate spettacolari e drammatiche. Ecco perchè i ciclisti amano questa montagna leggendaria e le salite del Consorzio Pontedilegno-Tonale

Il bello del ciclismo: la fatica, la sfida con la salita più estrema prima di una discesa al fulmicotone. Era l’8 giugno 1960, quando il Giro d’Italia scopriva per la prima volta la terribile ascesa verso il Passo Gavia, da un’intuizione di patron Vincenzo Torriani, che dopo averlo avvistato durante una ricognizione aerea aveva deciso di inserirlo nella “Corsa Rosa”. 60 anni dopo, l’iconica salita del Passo Gavia, dalla quale si possono ammirare le cime del gruppo Ortles-Cevedale e dell’Adamello, mantiene intatto il suo fascino, aggiungendosi alla vasta proposta di percorsi bike (oltre 500 km) che il Consorzio Pontedilegno-Tonale offre per poter soddisfare le esigenze di tutti gli appassionati di bici, anche di quelli meno esperti.

Imerio Massignan
Imerio Massignan durante il Giro d’Italia del 1960 (© Famiglia Massignan).

Al tempo nessuno avrebbe immaginato che quella lingua di 17 chilometri all’8% di pendenza media che si arrampica fino a quota 2618 metri sarebbe entrata nella storia del ciclismo per non uscirne mai più. Nemmeno Imerio Massignan, vicentino di Valmarana, il primo uomo a transitare sul Gavia al Giro d’Italia, non a caso da quel giorno soprannominato l’Angelo del Gavia.

Era la ventesima e decisiva tappa del Giro, da Trento a Bormio per un totale di 229 chilometri. Il menu prevedeva in sequenza Campo Carlo Magno, Passo del Tonale Passo Gavia: un percorso capace di mettere a dura prova anche i protagonisti più impavidi.

L’allora 23enne Massignan si giocava la maglia rosa con i mostri sacri dell’epoca: dall’Angelo della Montagna Charly Gaul all’indistruttibile Jacques Anquetil, al tenace e generoso Gastone Nencini. “Una giornata memorabile – ricorda Massignan, che oggi, a 83 anni e ancora in forma, vive a Silvano d’Orba, in provincia di Alessandria. – Partimmo fortissimo e a 80 Km dall’arrivo ero già solo in testa alla corsa. Ai tempi, del Gavia si sapeva poco o nulla: non avevamo fatto alcun tipo di ricognizione. A un certo punto mi trovai davanti una vera e propria mulattiera: ghiaia e sassi da tutte le parti, muri di neve alti sei metri e uno strapiombo a tenermi compagnia”.

Prima di quella che sarebbe poi diventata l’ultima galleria, costruita qualche decennio più tardi, bisognava affrontare una stradina molto stretta – ancora oggi percorribile in MTB – dove un mezzo militare degli Alpini era precipitato nel dirupo. “Io stavo bene, mi sentivo le gambe di Fausto Coppi, morto proprio nei primi giorni di quel 1960: povero Fausto, quanto avrebbe amato quella salita brutale… – racconta Massignan -. Transitai in cima al valico con quasi 2 minuti di vantaggio su Gaul. Alle mie spalle, corridori da tutte le parti che con le spinte del pubblico cercavano di raggiungere la vetta in ogni modo. Da quel momento il mio nome è rimasto indelebilmente legato al Gavia: ne vado molto orgoglioso”.

GELO E NEVE NEL 1988: UNA VERA APOCALISSE

Dal 1960 ad oggi, il Passo Gavia è stato inserito 14 volte nel percorso del Giro d’Italia. Memorabile quanto accadde il 5 giugno 1988, quando con una scelta ardita gli organizzatori decisero di disputare la tappa da Chiesa Valmalenco a Bormio a dispetto di condizioni meteo veramente al limite. Una bufera di neve sorprese i corridori sulla salita del Gavia e sulla successiva discesa con numerosi casi di assideramento, stravolgendo l’esito della gara. La maglia rosa Franco Chioccioli dovette deporre ogni sogno di gloria, mentre l’olandese Johan Van der Velde, primo in solitaria sul Gavia, dovette fermarsi in discesa per un principio di congelamento. A vincere la tappa fu Erik Breukink davanti a Andy Hampsten, che pochi giorni più tardi sarebbe entrato nella storia del Giro come primo vincitore americano.

Passo Gavia 1988
La celebre bufera di neve che sorprese la carovana del Giro d’Italia del 1988 sulla salita del Gavia

L’entusiasmo dopo aver scollinato per primo si sarebbe trasformato ben presto in rabbia e disperazione durante l’altrettanto impegnativa discesa verso Santa Caterina Valfurva e infine Bormio. Una, due, tre forature e addio maglia rosa. “Potevo veramente vincere il Giro perché il vantaggio sugli avversari era ampio – prosegue Massignan, detto “Gambasecca”, non solo per la magrezza ma perché aveva la gamba destra più corta di un centimetro e mezzo rispetto alla sinistra -. Con tutti quei sassi in discesa forai tre volte: l’ammiraglia della Legnano aveva bruciato la frizione ed era dispersa fra i monti, della moto di scorta neppure l’ombra. Per due volte riuscii a metterla a posto da solo, ma ormai Gaul mi aveva ripreso e superato. Nonostante ciò, riuscii a riagguantarlo per provare a vincere la tappa, ma a 300 metri dall’arrivo di Bormio forai una terza volta. Gaul mi vide barcollare e volò a vincere la tappa. A me rimasero lacrime e rimpianto, che qualche volta provo ancora oggi”.

Alla fine, Massignan chiuse quel Giro d’Italia al quarto posto, alle spalle di Anquetil, e Nencini e a soli 15 secondi dal terzo gradino del podio occupato da Gaul. Imerio non aveva le stimmate del fenomeno, come il grande Anquetil, ma compensava con carattere e doti di resilienza. “Sono nato in un’epoca di grandi campioni – racconta – ecco perchè non ho vinto molto. In salita non ero secondo a nessuno, ma a cronometro facevo troppa fatica e perdevo un sacco di tempo. Tuttavia, il primato sul Gavia non me lo toglie nessuno: sono tornato in cima in altre occasioni, ma la prima volta resta un’emozione speciale”.

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